Lo spaesamento è sentire smarrimento.
E quando si è spaesati qualcosa si è perso: i punti cardinali, i riferimenti, la strada e la direzione, la casa e le radici… Si è disorientati e più soli in questa condizione. E perciò ha più significato incontrarsi, e incontrare la poesia, le parole, le storie, perché servono a ritrovare casa e radici. La poesia di Andrea Zanzotto è tutto questo. È punto cardinale, strada, casa, lingua, identità, radici.
A cento anni dalla nascita del poeta, lo spettacolo è un tentativo di capire il presente di un territorio, il Veneto, attraverso le sue parole e la sua poesia, affiancate qua e là alle parole di altri due grandi scrittori di questa nostra terra: Meneghello e Carlotto.
Identità, civiltà, lingua non sono e non possono essere punti cardinali se non hanno, a loro volta, radici profonde e forti in un luogo dove ricordare «che esiste il sublime». Un Luogo che «per risaltare gli antichi splendori e accogliere vie di beltà» – secondo le meravigliose parole di Zanzotto – non può che ricorrere alla poesia, alle storie e a chi dà loro voce per provare a riorientarsi, a ritrovarsi.
Quel Luogo per noi è il Teatro.
Una società senza Teatro è una società smarrita, “spaesata” appunto. Ancor più oggi – tempo triste in cui al Teatro è chiesto di essere “distanziato” se non addirittura chiuso -, raccontare storie e provare a ri-trovarci e ritrovare in esse le nostre radici è un’urgenza da ascoltare e condividere come cosa necessaria. La drammaturgia dello spettacolo è costruita intorno ad alcuni testi poetici alternati a raccordi in prosa ispirati a scritti e interviste di Zanzotto e affronta temi cari al poeta come il dialetto, il paesaggio, l’ambiente e l’identità. Un frammento della poetica traduzione in dialetto veneto di Amleto di Luigi Meneghello e due prose di Massimo Carlotto integrano il percorso portato in scena da un attore e da un musicista senza soluzione di continuità, fino al bivio narrativo finale.